LE NAVI ANTICHE DI PISA.

PRIMI DATI AD UN ANNO DALL’INIZIO DELLE RICERCHE

Riflessioni in margine a una mostra

 

di Daniela Stiaffini  

   

 

Nel corso dei lavori di escavazione delle fondazioni per la realizzazione del nuovo centro direzionale relativo alla linea tirrenica delle Ferrovie dello Stato, situato nell’area del complesso ferroviario della stazione di Pisa-San Rossore, a poco più di cinquecento metri in linea d’aria dalla piazza del Duomo (Fig. 1), nei primi giorni di dicembre del 1998, sono stati riportati alla luce i resti di uno dei bacini portuali della Pisa etrusca e romana. Lo scavo, ancora in corso, si svolge sotto la direzione tecnico scientifica di Stefano Bruni ispettore della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana; i lavori di scavo sono gestiti dalla Co.idra s.c.r.l. di Firenze, i rilievi sono a cura di Tecnostudio 77 di Firenze; la resinatura dei relitti è eseguita dalla Ikhos progetti s.c.s. di Torino, i restauri sono a cura del Centro di Restauro della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e di Sergio Neri. Ringrazio Stefano Bruni che mi ha offerto lo studio e la pubblicazione del materiale vitreo proveniente da questo contesto e mi ha concesso l’opportunità di presentarlo in questa sede (1). (Fig. 2).

 

L’indagine archeologica

 

Sebbene lo scavo non sia ancora concluso e i dati debbano considerarsi preliminari e suscettibili di cambiamenti con il proseguimento delle indagini, si offre in questa sede un’anticipazione su alcuni dei risultati raggiunti.

L’area indagata si è rivelata di grande interesse. In primo luogo lo scavo archeologico ha fornito nuovo conoscenze sulla topografia della zona in epoca antica, gettando nuova luce sulla stessa fisionomia del paesaggio in cui sorse e si sviluppò la città di Pisa. I risultati delle ricerche condotte dai geografi, combinando i dati che l’archeologia ha fornito in questi ultimi anni con quelli della topografia e della geografia storica, rivelano, infatti, un paesaggio le cui caratteristiche appaiono nel tempo estremamente mutevoli. Una realtà geografica, molto diversa dall’attuale, segnata dalla presenza di due fiumi principali l’Arno e l’ora scomparso Auser (Serchio) e di corsi di acqua secondari; condizionata dallo stretto rapporto intercorso fra le alture non molto elevate su cui venne fondato l’insediamento e il mare, nonché la presenza di lagune costiere e paludi (2). Non di minore importanza è stato il ritrovamento nell’area meridionale dal saggio di scavo, di alcune strutture portuali (3). Nell’angolo orientale è stata individuata parte di una palizzata frangiflutti, rinvenuta ancora in situ; parallela a questa struttura, distante circa otto metri, si trovava una banchina, orientata sud-ovest/nord-est, che si sviluppava per una lunghezza di circa sedici metri. La struttura, già collassata ab antiquo, era realizzata con un muro rettilineo, largo circa un metro e settanta, da cui si sviluppava una palizzata frangiflutti, rinvenuta in strato di crollo. Allo stato attuale degli studi mancano elementi per collocare cronologicamente l’inizio di utilizzo di queste strutture portuali, che si inserirono all’interno di un insediamento che risaliva almeno alla fine del VII secolo a.C. I materiali recuperati nei livelli di crollo e addossati alle strutture portuali, tra cui ricordiamo, vasi a vernice nera, anfore di tipo greco-italico antico, il fondo di una coppa di argilla depurata con iscrizione etrusca graffita, due plumpekannen di impasto buccheroide e un frammento di cratere a colonnette a figure rosse, permettono di datare l’uso di queste strutture almeno sino al V secolo a.C. Una decina di metri più a nord si trovava un pontile di legno, rivenuto in parte distrutto, il cui uso è databile intorno al II secolo a.C. Interratasi questa area, e progressivamente avanzata verso nord la linea di riva, furono realizzate nuove strutture portuali, tra cui una banchina costruita con bozze di pietra legate da malta, databile in età tiberiana se non già in età claudia. La struttura, che si sviluppava per oltre otto metri ed era larga alla testata un metro e mezzo, era provvista di due avancorpi quadrangolari diametralmente opposti e sfalsati.

Ma la scoperta più inattesa, all’interno del bacino portuale, è costituita dal rinvenimento dei resti di numerosi relitti di imbarcazioni e di una ingente quantità di reperti. Una serie di circostanze casuali, come la presenza di una copiosa acqua di falda superficiale e l’assenza di ossigeno nei livelli sabbiosi, da un lato, e dall’altro le difficoltà che ab antiquo si erano frapposte al recupero delle varie imbarcazioni, che per differenti motivi e in epoche diverse erano affondate in questo bacino, hanno permesso a questa ingente serie di relitti e reperti di ogni genere di giungere sino a noi in un eccezionale stato di conservazione. L’importanza del rinvenimento è legata a vari fattori, primo fra tutti la quantità dei relitti ritrovati, almeno sedici, di cui otto in corso di scavo, ed il loro eccellente stato di conservazione dovuto all’ambiente umido e privo di ossigeno. Si tratta, in particolare, dei resti di tre navi onerarie o da trasporto (Fig. 2, B, E, A), di una grossa imbarcazione a remi (Fig. 2, C), nonché di una barca di forma più snella e allungata, probabilmente destinata alla navigazione fluviale e lagunare (Fig. 2, F), oltre ai resti di una nave, rinvenuta rovesciata, priva di chiglia, con il boccaporto e parte del ponte ancora in situ. La nave B è la più antica delle tre navi onerarie sin ora rinvenute. Si tratta di un’imbarcazione costruita a doppio fasciame con intercapedine interno per ottenere una maggiore stabilità e solidità anche in condizione di basso fondale. Gli elementi che costituiscono lo scafo sono assemblati ad incastri di mortase e tenoni rinforzati da cavicchi in legno a biette ribattuti da chiodi in bronzo, contenenti un’alta percentuale di rame per evitare fenomeni di ossidazione. La parte del relitto giunta sino a noi, lunga oltre nove metri e mezzo per una larghezza di quattro metri e trenta, conservava ancora parte del carico in situ, costituito da anfore stivate su filari sovrapposti e sfalsati. Le anfore di diverse tipologie (soprattutto Lamboglia 2 e Dressel 6), per lo più bollate, contenevano al loro interno residui liquidi (probabilmente vino), noccioli di frutta (noci, castagne, pesche, ciliegie, susine) oltre ad olive, e sabbia. Le analisi effettuate sulla sabbia e l’esame degli elementi utilizzati per bloccare le anfore (piccole pietre tufacee, frammenti di statue marmoree, cubetti di lava vesuviana) hanno evidenziato una origine del carico dal golfo di Napoli. Numerosi sono anche gli oggetti ritrovati, costituiti da coppe in terra sigillata, a pareti sottili, lucerne, coppe in vetro, monete e lacerti di cuoio. Questi materiali e soprattutto una moneta di Augusto coniata attorno al 12 a.C. permettono di datare l’affondamento della nave alla prima età augustea. Le analisi effettuate su alcuni campioni prelevati dal relitto B, permettono di ipotizzare che la nave fosse stata realizzata prevalentemente con legno di quercia. Del relitto della nave E rinvenuto in prossimità della nave B e a fianco della imbarcazione F, è stata per ora rimessa in luce solo parte di una fiancata. La tecnica costruttiva è analoga a quella della nave oneraria con il carico (nave B), ossia fiancata a doppio fasciame con intercapedine interno per ottenere una maggiore stabilità e solidità anche in condizioni di basso fondale. Anche in questo caso parte del carico, composto da anfore (soprattutto anfore Dressel 2-4 di produzione tarraconense, da anfore Dressel 7-11 e Dressel 9, nonché da anfore di tipo Beltran II B originario dell’area betica) e dai dolii (dei quali restano solo i coperchi), erano ancora in posto. L’analisi tipologica delle anfore e degli oggetti relativi al presunto corredo di bordo (ceramica in terra sigillata, ceramica ad impasto e da fuoco, vasellame vitreo) consentono di collocare l’affondamento della imbarcazione nel primo trentennio del I secolo d.C. Forse in relazione con questo relitto è da porre una grande ancora di legno, decorata sul fusto da una grande foglia cuoriforme a rilievo, simile, anche per le dimensioni, all’esemplare delle navi di Nemi. Il relitto della nave A è stato finora scavato solo in parte poiché la porzione restante è posta al di fuori dell’attuale area di scavo. La parte rimessa in luce si sviluppa per una quindicina di metri a partire dalla poppa. Al fasciame, costituito da tavole unite da cavicchi e biette in legno, si sovrappone un sistema di ordinate, anch’esse ribattute tramite cavicchi di legno o chiodi di bronzo, di dimensioni minori verso la poppa. Sebbene la tipologia dello scafo sia quello delle onorarie, la nave non presenta tracce del carico. Tuttavia, alcuni reperti recuperati in connessione con lo scafo, oltre all’esame della stratigrafia, consentono di datare questa nave nei primi decenni del II secolo d.C. Un saggio di approfondimento effettuato all’esterno della poppa ha restituito dei blocchi di mattoni refrattari con residui di vetrificazione. Si tratta, con ogni probabilità di resti di una fornace per la fusione della miscela vetrificabile, difficilmente databile in mancanza di analisi specifiche, ma essendo stato ritrovato in connessione con anfore Almagro 50, sembrerebbe che si potesse fare riferimento ad un ambito cronologico di IV secolo d.C. Nei pressi dell’ampliamento sud è venuta alla luce una imbarcazione, la nave C, che, in base alle caratteristiche costruttive non può essere un’onoraria ma piuttosto una grande imbarcazione a remi. La nave, lunga oltre undici metri e settanta e larga, nel punto centrale, due metri e ottanta, è quasi stata completamente riportata alla luce, evidenziando gran parte dello scafo interno e la prua. La nave conserva tutti gli elementi strutturali (la chiglia, il paramezzale, le ordinate, i paglioli, la scassa dell’albero, le bitte di prua, una delle quali ancora con una cima d’ormeggio attorcigliata), nonché sei banchi posti ad intervalli regolari e destinati ai rematori. Le fiancate della imbarcazione sono a fasciame semplice e il fasciame e le ordinate sono collegate da cavicchi di legno di varie dimensioni. I chiodi utilizzati sono pochi e generalmente in ferro. Alcune aperture lungo la murata, in corrispondenza dei banchi, erano destinati ai remi, mentre una piccola lamina di piombo documenta una riparazione ab antiquo in prossimità di una delle due ordinate. La prua, provvista di tagliaflutti, doveva essere fornita di uno sperone o di qualche elemento similare in metallo, con ogni probabilità recuperato in antico. L’eccezionale stato di conservazione di questo scafo è testimoniato tra l’altro dalla presenza di consistenti resti di colore rosso o ocra rosso applicato in antico sulle fiancate. Le analisi effettuate su alcuni campioni prelevati dal relitto permettono di ipotizzare, nella realizzazione della imbarcazione il prevalente uso di conifere e legno di fico. I pochi materiali recuperati all’interno dello scafo lasciano ipotizzare una datazione a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Nel terreno a ridosso di questa imbarcazione sono stati ritrovati numerosi pezzi di cima, un argano in legno con ancora i canapi, un sandalo in cuoio, una borsa in vimini, oltre ad anfore, ceramiche d’uso comune e vasellame vitreo. La nave F è piegata su un fianco ed in parte sovrapposta alla nave E, è stata riportata in luce, una barca a fondo piatto, lunga circa otto metri e venti e larga poco più di un metro. La particolare struttura di questo relitto, simile ad una piroga, sembra indicare un suo uso nel quadro di una navigazione in ambito fluviale e lagunare. In base ai pochi materiali rinvenuti sin ora nei livelli di sabbia che la coprivano, si può datare questo relitto ai primi decenni del II secolo d.C. In base ai risultati della campionatura effettuata si può ritenere plausibile l’ipotesi che il legname usato per la realizzazione della imbarcazione F fosse prevalentemente composto da legno di quercia. Lo scafo del relitto della nave D, lungo circa quattordici metri e largo sei metri, presenta una struttura complessa articolata sulla fiancata, in prossimità della poppa e della prua, da coppie di strutture aggettanti. La fiancata, a doppio fasciame, ha la murata esterna rinforzata con pali disposti orizzontalmente; la prua affusolata conserva ancora resti di un rivestimento in ferro. Parte della chiglia ed il fasciame adiacente devono essere stati recuperati ab antiquo; tuttavia si conserva ancora il boccaporto che consentiva di accedere alla stiva e parte del ponte. La nave doveva possedere un grande albero centrale, di cui è stata individuata la parte inferiore. La metodologia costruttiva di questa nave si differenzia da quelle sin ora esaminate, perché non impiega l’usuale sistema antico del fasciame unito con mortase e cavicchi, ma prevede la messa in opera delle tavole con chiodatura in ferro sulla struttura delle ordinate. Inoltre la limitata altezza della sentina (poco più di un metro), la totale assenza di materiali relativi ad un eventuale carico, fanno pensare ad una nave non utilizzata per trasporti commerciali. Per quanto concerne la collocazione cronologica di questo relitto, mancano al momento sicuri riferimenti cronologici; i reperti riportati finora in luce nei livelli in connessione con lo scafo non offrono, infatti, indicazioni utili, comprendendo classi ceramiche che vanno dalla prima età augustea fino a dopo l’età antonina. Mentre i pochi frammenti riportati in luce nei saggi che hanno individuato le due imbarcazioni che si trovano al di sotto del relitto, in particolare un’anfora di tipo spathaia, sembrano orientare verso una datazione non anteriore all’avanzato V secolo (4) (Fig.2 D) A questi relitti deve essere aggiunta un’altra imbarcazione, naufragata nei pressi del pontile di legno, databile per i materiali recuperati fra il fasciame che doveva costituire lo scafo, all’età ellenistica.Della nave, che doveva avere subito un naufragio particolarmente violento, sono state recuperate soltanto le ordinate sciolte. Lo scafo doveva essere di grandi dimensioni a giudicare dalle ordinate (una recuperata integra misura oltre due metri di lunghezza) e dei pezzi di tavole rinvenute. Tra i materiali recuperati si hanno numerosi frammenti di anfore di tipologia diversa (greco-italiche, puniche, massaliote), di ceramica a vernice nera di fabbricazione volterrana, una lagynos di produzione orientale, alcuni vasi dipinti di fabbricazione iberica (sombreros de copa), quattro thymiateria (bruciaprofumi) di area punica, un frammento di fibula d’oro di area calitica, materiali che fanno pensare a un carico, in gran parte, di origine punica. L’ipotesi pare confermata dal ritrovamento di resti ossei pertinenti ad una leonessa adulta (frammento mascellare sinistro con dente), che poteva essere stata prelevata dalla costa nord-africana per essere utilizzata in spettacoli circensi. Infatti i resti ossei della leonessa, come quelli relativi a tre cavalli, devono essere attribuiti al carico piuttosto che alle pratiche alimentari dell’equipaggio, come, ad esempio, le numerose scapole di suino con evidenti segni di macellazione (5). Non è da sottovalutare, infine, la possibilità offerta da questo sito, di indagare, secondo la metodologia di uno scavo stratigrafico terrestre, strutture e materiali che in genere vengono ritrovati in ambiente subacqueo. Non secondario, inoltre è la quantità e la varietà degli oggetti mobili recuperati, da quelli relativi al carico, quali le anfore di varie tipologie e cronologie, di cui ne sono state recuperate oltre un migliaio, e i coperchi dei dolii; a quelli destinati al corredo di bordo, come la ceramica da impasto e da fuoco, la ceramica a vernice nera, la ceramica in terra sigillata, quella a pareti sottili, i reperti vitrei, i manufatti in osso e corno, le lucerne con i beccucci anneriti che ne attestano l’uso, ai balsamari che insieme agli strumenti chirurgici dovevano far parte della datazione medica di bordo; agli oggetti relativi all’attrezzatura delle navi, quali gli utensili per la pesca (pesi, ami, aghi da rete), ancore, mezzimarinai, bozzelli, nasse, cesti, cestini, sartie, cime, reperti deperibili qui eccezionalmente conservati; a quelli personali dell’equipaggio, come pettini di legno, suole di calzature in legno e in cuoio, lacerti di cuoio relativi all’abbigliamento dei marinai (6).

 

Il materiale vitreo

 

In questa sede si soffermerà l’attenzione sul vasellame vitreo, sinora rinvenuto nei livelli sabbiosi del bacino portuale pisano, che, per l’eccezionale stato di conservazione, la rarità o il particolare pregio di alcuni manufatti, ha suscitato molto interesse. I reperti vitrei, ordinati in base alla datazione fornita da ogni singolo contesto e raggruppati tipologicamente, registrano una notevole concentrazione numerica e una ragguardevole varietà di forme. Il vasellame vitreo, databile per lo più nel periodo compreso fra il I secolo a.C. ed il II secolo d.C., è stato realizzato impiegando due tecniche fondamentali: a matrice (coppe a nastri, coppe costolate, bicchieri con decorazione ‘a nido d’ape’, coppe a parete liscia) e con la soffiatura a canna libera e a stampo in un vetro di buona qualità, di prevalente tonalità verdeazzurro o azzurro chiaro (7). I manufatti vitrei recuperati nei livelli sabbiosi del bacino portuale pisano sono relativi soprattutto al vasellame da mensa e da dispensa (coppe, bicchieri, piatti, bottiglie monoansate) con una netta prevalenza delle forme aperte su quelle chiuse e, in misura minore, sono riferibili a balsamari, oggetti di ornamento (vaghi di collana, agocrinali), pedine da gioco (8). L’esame dei manufatti fa ritenere che la maggior parte di questi recipienti fosse relativa al corredo di bordo, destinato soprattutto alla mensa principale delle navi. Anche se la particolare raffinatezza di alcune suppellettili fa pensare a un commercio di vasellame vitreo pregiato, ordinato per soddisfare peculiari committenze, relativo, quindi, a pochi esemplari. È noto, infatti, come il vasellame vitreo fin dall’antichità viaggiasse, insieme alle altre merci, sia sulle piste carovaniere che sulle rotte marine e fluviali. Se è vero che il commercio transmarino interessava soprattutto le derrate alimentari trasportate dentro anfore e dolii, è altrettanto provato che gli altri manufatti (ceramiche, vetri, metalli) viaggiassero come merce di accompagno che riempiva gli spazi vuoti delle stive delle navi.

Nell’impossibilità di dare in questa sede una disamina completa dei reperti vitrei, ci si limita a qualche considerazione di carattere generale e all’esame dei manufatti più significativi per morfologia e per giacitura. La maggior parte del vasellame vitreo fino ad oggi recuperato è stato ritrovato prevalentemente nella parte settentrionale del saggio di scavo (Fig. 2, aree 2 e 3) dove sono state individuate le navi B ed E; un ambito caratterizzato da una notevole concentrazione di reperti vitrei, se messo in relazione ai pochi reperti recuperati nelle aree 4 e 5, dove sono state scoperte le navi C e D, oppure nell’area 1. Allo stato attuale delle ricerche è possibile individuare il vasellame vitreo appartenente al carico della nave B, mentre per il numeroso materiale vitreo rinvenuto intorno e dentro la nave E è solo possibile attribuire qualche reperto genericamente al carico della nave, attendendo conferma dal proseguimento delle indagini archeologiche. Fra gli esemplari più pregiati sin ora rinvenuti, si segnalano alcune coppe realizzate a matrice relative al carico della nave B, assegnabili alla produzione del I secolo a.C. Si tratta di una coppa in vetro spesso color giallo ocra (n. 153) (Fig. 3) che nel profilo ad orlo rientrante come nei motivi a scanalature orizzontali ricorda una tarda variante della coppa “megarese” di età ellenistica attestata a Delo. Si ha anche la presenza di alcuni frammenti di coppe ‘a mosaico’ realizzate con la tecnica ‘a nastri’ policromi. Tra i reperti rivenuti nel carico della nave B sono presenti due frammenti non combacianti, ma relativi allo stesso esemplare (n. 131 a-b) (Fig. 4), realizzati con lo schema decorativo a corsi paralleli, alternati con canne in vetro a ‘reticelli’ e l’inserimento di vetro ‘millefiori’. Si ha altresì l’attestazione di un frammento di bordo di coppa eseguita con lo schema decorativo a quadranti (n. 130) (Fig. 5), nel quale i nastri, disposti a spina di pesce uguali due a due, ripetono simmetricamente lo stesso motivo decorativo. Più raro è il frammento di coppa costolata marmorizzata (n. 137), che trova confronti con il vasellame proveniente dall’area orientale del Mediterraneo, formatosi nel I secolo a.C. nell’ambito ellenistico, e diffuso nell’area occidentale dell’impero dall’inizio del I secolo d.C.

Assegnabile al carico della nave E è una coppa costolata integra in vetro monocromo color ambra scuro (n. 31) (Fig. 6). Mentre gli esemplari in vetro policromo non sono attestati oltre la metà del I secolo d.C., quelli in vetro monocromo, soprattutto verdeazzurro, prodotti già in età augustea, hanno nella seconda metà del I secolo d.C. il periodo di massima diffusione e continuano ad essere attestati sino al secolo successivo. Questo esemplare, per le qualità del vetro, e la tecnica di esecuzione dovrebbe essere assegnabile alla produzione dei primi decenni del I secolo d.C., mentre la coppa costolata di colore verdeazzurro (n. 155) anche in considerazione della presenza di solcature incise sulla parete interna, dovrebbe essere assegnabile alla metà del I secolo d.C.

Un discorso a parte merita per la particolare bellezza una brocca in vetro soffiato a canna libera, decorata alla base dell’ansa da una raffinata “applique” in vetro fuso a rilievo raffigurante una testa femminile (maschera teatrale) (n. 202), riferibile al carico della nave E (Fig. 7a-b). La brocca pisana per le caratteristiche morfologiche e stilistiche forma, insieme con altri tre esemplari – rinvenuti a Pompei, in Sardegna e uno privo dei dati di provenienza facente parte di una collezione privata – un gruppo coerente e potrebbe far parte della produzione di una unica officina vetraria, non ancora localizzata attiva nel I secolo d.C., probabilmente nella penisola italiana.

Un esemplare di particolare pregio è stato ritrovato anche nello scavo effettuato per la realizzazione del sottopassaggio pedonale della stazione ferroviaria di Pisa-San Rossore (Area 10), indagine che ha riportato alla luce un altro lembo del bacino portuale. Si tratta di un bicchiere cilindrico di vetro verde chiaro (n. SR13) (Fig. 8), avvicinabile alla tipica forma di vaso potorio prodotto in area siro-palestinese nel I secolo d.C.: orlo svasato a taglio netto, pareti lievemente inclinate verso il fondo apodo. L’esemplare pisano, soffiato entro stampo, reca una decorazione in rilievo consistente in una fascia mediana decorata da tralci di edera fra due ampie fasce ricoperte da un motivo a losanghe. Il tipo di decorazione sembra riconducibile al repertorio dei vitrarii di formazione ellenistica, realizzato nell’ambito delle produzioni romano-siriache, la cui diffusione in area italica sembra raggiungere il suo apice nella seconda metà del I secolo d.C., soprattutto con le coppe che recano il marchio del vitrarius sidonio Ennion.

 

La mostra

 

Per l’indubbio interesse che la scoperta riveste dal punto di vista scientifico, ma ovviamente anche dal punto di vista della fruizione pubblica, ad appena un anno e mezzo del rinvenimento del primo relitto (nave A) e con lo scavo ancora in corso, è stata inaugurata a Pisa l’esposizione di parte dei reperti rinvenuti nell’antico bacino portuale. Questa mostra, ospitata negli Arsenali Medicei, preceduta già da due importanti esposizioni, una in questa stessa sede (25 giugno-6 agosto 1999, con prolungamento sino alla fine di ottobre) e l’altra in una sezione del Museo Archeologico Nazionale di Firenze (20 febbraio-14 maggio 2000), è attualmente la più ricca e aggiornata esposizione degli oggetti recuperati nel bacino portuale pisano.


 

Le navi antiche di Pisa. Primi dati ad un anno dell’inizio delle ricerche

 

Sede: Pisa, Arsenali Medicei, Lungarno Simonelli

Periodo: dal 15 giugno 2000

Orario: dal martedì al venerdì di h. 10-19; sabato, domenica e festivi h. 10-13/14-20, lunedì chiuso.

Informazioni: Comune di Pisa, Ufficio Cultura 050 910471

Informazioni visite guidate: Phoenix 050 21441 055 3215446

Sito internet: http://www.navipisa.it 

e-mail: info@navipisa.it

Catalogo: Le navi antiche di Pisa. Primi dati ad un anno dall’inizio delle ricerche, a cura di Stefano Bruni, Firenze, Polistampa, 2000.

 

 

 

Foto: Copyright Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana (SAT), autore Luigi Miccinesi. Restauro del materiale vitreo: Sergio Neri.


Note

 

(1) Lo scavo, ancora in corso, si svolge sotto la direzione tecnico scientifica di Stefano Bruni ispettore della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana; i lavori di scavo sono gestiti dalla Co.idra s.c.r.l. di Firenze, i rilievi sono a cura di Tecnostudio 77 di Firenze; la resinatura dei relitti è eseguita dalla Ikhos progetti s.c.s. di Torino, i restauri sono a cura del Centro di Restauro della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e di Sergio Neri. Ringrazio Stefano Bruni che mi ha offerto lo studio e la pubblicazione del materiale vitreo proveniente da questo contesto e mi ha concesso l’opportunità di presentarlo in questa sede.

(2) Sull’argomento si veda S. Bruni, Il porto urbano di Pisa e i relitti del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”. Primi dati (molto) preliminari, in Le navi antiche di Pisa. Ad un anno dall’inizio delle ricerche, a cura di S. Bruni, Firenze 2000, pp. 24-34.

(3) S. Bruni, Il porto urbano, cit., pp. 33-40, ivi ricca bibliografia.

(4) Sul ritrovamento dei relitti la loro descrizione e datazione, si veda S.Bruni , il porto urbano cit pag 40-51 ivi bibliografia precedente.

(5) Per una disamina più puntuale dei materiali rinvenuti si veda, Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 121-129; 175-189; 190-192; 193-196; 210-212; 213-218 a cura di vari autori. Sul rinvenimento della nave, la sua descrizione e datazione, si veda S. Bruni, Il porto urbano, cit., pp. 37-39.

(6) Per la trattazione specifica dei materiali, si veda Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 92-352, a cura di vari autori con bibliografia esaustiva.

(7) Sulle tecniche di produzione vitrea, si veda L. Saguì (a cura di), Storia al caleidoscopio. I vetri della collezione Gorga: un patrimonio ritrovato, Firenze 1998, pp. 13-26.

(8) Per un esame più puntuale del materiale vitreo si rimanda a D. Stiaffini, Vetri, in Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 264-289, ivi ricca bibliografia di riferimento.