LE
NAVI ANTICHE DI PISA.
PRIMI
DATI AD UN ANNO DALL’INIZIO DELLE RICERCHE
Riflessioni
in margine a una mostra
di Daniela Stiaffini
Nel
corso dei lavori di escavazione delle fondazioni per la realizzazione del nuovo
centro direzionale relativo alla linea tirrenica delle Ferrovie dello Stato,
situato nell’area del complesso ferroviario della stazione di Pisa-San
Rossore, a poco più di cinquecento metri in linea d’aria dalla piazza del
Duomo (Fig.
1), nei primi giorni di dicembre del 1998, sono stati riportati alla
luce i resti di uno dei bacini portuali della Pisa etrusca e romana.
Lo scavo, ancora in
corso, si svolge sotto la direzione tecnico scientifica di Stefano Bruni
ispettore della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana; i lavori
di scavo sono gestiti dalla Co.idra s.c.r.l. di Firenze, i rilievi sono a
cura di Tecnostudio 77 di Firenze; la resinatura dei relitti è eseguita
dalla Ikhos progetti s.c.s. di Torino, i restauri sono a cura del Centro di
Restauro della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e di Sergio
Neri. Ringrazio Stefano Bruni che mi ha offerto lo studio e la pubblicazione
del materiale vitreo proveniente da questo contesto e mi ha concesso
l’opportunità di presentarlo in questa sede
(1).
(Fig. 2).
Sebbene
lo scavo non sia ancora concluso e i dati debbano considerarsi preliminari e
suscettibili di cambiamenti con il proseguimento delle indagini, si offre in
questa sede un’anticipazione su alcuni dei risultati raggiunti.
L’area
indagata si è rivelata di grande interesse. In primo luogo lo scavo
archeologico ha fornito nuovo conoscenze sulla topografia della zona in epoca
antica, gettando nuova luce sulla stessa fisionomia del paesaggio in cui sorse e
si sviluppò la città di Pisa. I risultati delle ricerche condotte dai
geografi, combinando i dati che l’archeologia ha fornito in questi ultimi anni
con quelli della topografia e della geografia storica, rivelano, infatti, un
paesaggio le cui caratteristiche appaiono nel tempo estremamente mutevoli. Una
realtà geografica, molto diversa dall’attuale, segnata dalla presenza di due
fiumi principali l’Arno e l’ora scomparso Auser (Serchio) e di corsi di
acqua secondari; condizionata dallo stretto rapporto intercorso fra le alture
non molto elevate su cui venne fondato l’insediamento e il mare, nonché la
presenza di lagune costiere e paludi
(2).
Non di minore importanza è stato il ritrovamento nell’area meridionale dal
saggio di scavo, di alcune strutture portuali
(3).
Nell’angolo orientale è stata individuata parte di una palizzata
frangiflutti, rinvenuta ancora in situ; parallela a questa struttura,
distante circa otto metri, si trovava una banchina, orientata
sud-ovest/nord-est, che si sviluppava per una lunghezza di circa sedici metri.
La struttura, già collassata ab antiquo, era realizzata con un muro
rettilineo, largo circa un metro e settanta, da cui si sviluppava una palizzata
frangiflutti, rinvenuta in strato di crollo. Allo stato attuale degli studi
mancano elementi per collocare cronologicamente l’inizio di utilizzo di queste
strutture portuali, che si inserirono all’interno di un insediamento che
risaliva almeno alla fine del VII secolo a.C. I materiali recuperati nei livelli
di crollo e addossati alle strutture portuali, tra cui ricordiamo, vasi a
vernice nera, anfore di tipo greco-italico antico, il fondo di una coppa di
argilla depurata con iscrizione etrusca graffita, due plumpekannen di
impasto buccheroide e un frammento di cratere a colonnette a figure rosse,
permettono di datare l’uso di queste strutture almeno sino al V secolo a.C.
Una decina di metri più a nord si trovava un pontile di legno, rivenuto in
parte distrutto, il cui uso è databile intorno al II secolo a.C. Interratasi
questa area, e progressivamente avanzata verso nord la linea di riva, furono
realizzate nuove strutture portuali, tra cui una banchina costruita con bozze di
pietra legate da malta, databile in età tiberiana se non già in età claudia.
La struttura, che si sviluppava per oltre otto metri ed era larga alla testata
un metro e mezzo, era provvista di due avancorpi quadrangolari diametralmente
opposti e sfalsati.
Ma
la scoperta più inattesa, all’interno del bacino portuale, è costituita dal
rinvenimento dei resti di numerosi relitti di imbarcazioni e di una ingente
quantità di reperti. Una serie di circostanze casuali, come la presenza di una
copiosa acqua di falda superficiale e l’assenza di ossigeno nei livelli
sabbiosi, da un lato, e dall’altro le difficoltà che ab antiquo si
erano frapposte al recupero delle varie imbarcazioni, che per differenti motivi
e in epoche diverse erano affondate in questo bacino, hanno permesso a questa
ingente serie di relitti e reperti di ogni genere di giungere sino a noi in un
eccezionale stato di conservazione. L’importanza del rinvenimento è legata a
vari fattori, primo fra tutti la quantità dei relitti ritrovati, almeno sedici,
di cui otto in corso di scavo, ed il loro eccellente stato di conservazione
dovuto all’ambiente umido e privo di ossigeno. Si tratta, in particolare, dei
resti di tre navi onerarie o da trasporto (Fig. 2, B, E,
A), di una grossa
imbarcazione a remi (Fig. 2,
C), nonché di una barca di forma più snella e
allungata, probabilmente destinata alla navigazione fluviale e lagunare (Fig. 2,
F), oltre ai resti di una nave, rinvenuta rovesciata, priva di chiglia, con il
boccaporto e parte del ponte ancora in situ. La
nave B è la più antica delle tre navi onerarie sin ora rinvenute. Si
tratta di un’imbarcazione costruita a doppio fasciame con intercapedine
interno per ottenere una maggiore stabilità e solidità anche in condizione
di basso fondale. Gli elementi che costituiscono lo scafo sono assemblati ad
incastri di mortase e tenoni rinforzati da cavicchi in legno a biette
ribattuti da chiodi in bronzo, contenenti un’alta percentuale di rame per
evitare fenomeni di ossidazione. La parte del relitto giunta sino a noi,
lunga oltre nove metri e mezzo per una larghezza di quattro metri e trenta,
conservava ancora parte del carico in situ, costituito da anfore
stivate su filari sovrapposti e sfalsati. Le anfore di diverse tipologie
(soprattutto Lamboglia 2 e Dressel 6), per lo più bollate, contenevano al
loro interno residui liquidi (probabilmente vino), noccioli di frutta (noci,
castagne, pesche, ciliegie, susine) oltre ad olive, e sabbia. Le analisi
effettuate sulla sabbia e l’esame degli elementi utilizzati per bloccare
le anfore (piccole pietre tufacee, frammenti di statue marmoree, cubetti di
lava vesuviana) hanno evidenziato una origine del carico dal golfo di
Napoli. Numerosi sono anche gli oggetti ritrovati, costituiti da coppe in
terra sigillata, a pareti sottili, lucerne, coppe in vetro, monete e lacerti
di cuoio. Questi materiali e soprattutto una moneta di Augusto coniata
attorno al 12 a.C. permettono di datare l’affondamento della nave alla
prima età augustea. Le analisi effettuate su alcuni campioni prelevati dal
relitto B, permettono di ipotizzare che la nave fosse stata realizzata
prevalentemente con legno di quercia.
In
questa sede si soffermerà l’attenzione sul vasellame vitreo, sinora rinvenuto
nei livelli sabbiosi del bacino portuale pisano, che, per l’eccezionale stato
di conservazione, la rarità o il particolare pregio di alcuni manufatti, ha
suscitato molto interesse. I reperti vitrei, ordinati in base alla datazione
fornita da ogni singolo contesto e raggruppati tipologicamente, registrano una
notevole concentrazione numerica e una ragguardevole varietà di forme. Il
vasellame vitreo, databile per lo più nel periodo compreso fra il I secolo a.C.
ed il II secolo d.C., è stato realizzato impiegando due tecniche fondamentali:
a matrice (coppe a nastri, coppe costolate, bicchieri con decorazione ‘a nido
d’ape’, coppe a parete liscia) e con la soffiatura a canna libera e a stampo
in un vetro di buona qualità, di prevalente tonalità verdeazzurro o azzurro
chiaro
(7).
I manufatti vitrei recuperati nei livelli sabbiosi del bacino portuale pisano
sono relativi soprattutto al vasellame da mensa e da dispensa (coppe, bicchieri,
piatti, bottiglie monoansate) con una netta prevalenza delle forme aperte su
quelle chiuse e, in misura minore, sono riferibili a balsamari, oggetti di
ornamento (vaghi di collana, agocrinali), pedine da gioco
(8).
L’esame dei manufatti fa ritenere che la maggior parte di questi recipienti
fosse relativa al corredo di bordo, destinato soprattutto alla mensa principale
delle navi. Anche se la particolare raffinatezza di alcune suppellettili fa
pensare a un commercio di vasellame vitreo pregiato, ordinato per soddisfare
peculiari committenze, relativo, quindi, a pochi esemplari. È noto, infatti,
come il vasellame vitreo fin dall’antichità viaggiasse, insieme alle altre
merci, sia sulle piste carovaniere che sulle rotte marine e fluviali. Se è vero
che il commercio transmarino interessava soprattutto le derrate alimentari
trasportate dentro anfore e dolii, è altrettanto provato che gli altri
manufatti (ceramiche, vetri, metalli) viaggiassero come merce di accompagno che
riempiva gli spazi vuoti delle stive delle navi.
Nell’impossibilità di dare in questa sede una disamina completa dei
reperti vitrei, ci si limita a qualche considerazione di carattere generale e
all’esame dei manufatti più significativi per morfologia e per giacitura. La
maggior parte del vasellame vitreo fino ad oggi recuperato è stato ritrovato
prevalentemente nella parte settentrionale del saggio di scavo (Fig. 2, aree 2 e
3) dove sono state individuate le navi B ed E; un ambito caratterizzato da una
notevole concentrazione di reperti vitrei, se messo in relazione ai pochi
reperti recuperati nelle aree 4 e 5, dove sono state scoperte le navi C e D,
oppure nell’area 1. Allo stato attuale delle ricerche è possibile individuare
il vasellame vitreo appartenente al carico della nave B, mentre per il numeroso
materiale vitreo rinvenuto intorno e dentro la nave E è solo possibile
attribuire qualche reperto genericamente al carico della nave, attendendo
conferma dal proseguimento delle indagini archeologiche. Fra gli esemplari più
pregiati sin ora rinvenuti, si segnalano alcune coppe realizzate a matrice
relative al carico della nave B, assegnabili alla produzione del I secolo a.C.
Si tratta di una coppa in vetro spesso color giallo ocra (n. 153) (Fig. 3) che
nel profilo ad orlo rientrante come nei motivi a scanalature orizzontali ricorda
una tarda variante della coppa “megarese” di età ellenistica attestata a
Delo. Si ha anche la presenza di alcuni frammenti di coppe ‘a mosaico’
realizzate con la tecnica ‘a nastri’ policromi. Tra i reperti rivenuti nel
carico della nave B sono presenti due frammenti non combacianti, ma relativi
allo stesso esemplare (n. 131 a-b) (Fig.
4), realizzati con lo schema decorativo
a corsi paralleli, alternati con canne in vetro a ‘reticelli’ e
l’inserimento di vetro ‘millefiori’. Si ha altresì l’attestazione di un
frammento di bordo di coppa eseguita con lo schema decorativo a quadranti (n.
130) (Fig. 5), nel quale i nastri, disposti a spina di pesce uguali due a due,
ripetono simmetricamente lo stesso motivo decorativo. Più raro è il frammento
di coppa costolata marmorizzata (n. 137), che trova confronti con il vasellame
proveniente dall’area orientale del Mediterraneo, formatosi nel I secolo a.C.
nell’ambito ellenistico, e diffuso nell’area occidentale dell’impero
dall’inizio del I secolo d.C.
Assegnabile al carico della nave E è una coppa costolata integra in
vetro monocromo color ambra scuro (n. 31) (Fig.
6). Mentre gli esemplari in
vetro policromo non sono attestati oltre la metà del I secolo d.C., quelli in
vetro monocromo, soprattutto verdeazzurro, prodotti già in età augustea, hanno
nella seconda metà del I secolo d.C. il periodo di massima diffusione e
continuano ad essere attestati sino al secolo successivo. Questo esemplare, per
le qualità del vetro, e la tecnica di esecuzione dovrebbe essere assegnabile
alla produzione dei primi decenni del I secolo d.C., mentre la coppa costolata
di colore verdeazzurro (n. 155) anche in considerazione della presenza di
solcature incise sulla parete interna, dovrebbe essere assegnabile alla metà
del I secolo d.C.
Un
discorso a parte merita per la particolare bellezza una brocca in vetro soffiato
a canna libera, decorata alla base dell’ansa da una raffinata “applique”
in vetro fuso a rilievo raffigurante una testa femminile (maschera teatrale) (n.
202), riferibile al carico della nave E (Fig.
7a-b). La brocca pisana per le
caratteristiche morfologiche e stilistiche forma, insieme con altri tre
esemplari – rinvenuti a Pompei, in Sardegna e uno privo dei dati di
provenienza facente parte di una collezione privata – un gruppo coerente e
potrebbe far parte della produzione di una unica officina vetraria, non ancora
localizzata attiva nel I secolo d.C., probabilmente nella penisola italiana.
Un esemplare di particolare pregio è stato ritrovato anche nello scavo
effettuato per la realizzazione del sottopassaggio pedonale della stazione
ferroviaria di Pisa-San Rossore (Area 10), indagine che ha riportato alla luce
un altro lembo del bacino portuale. Si tratta di un bicchiere cilindrico di
vetro verde chiaro (n. SR13) (Fig.
8), avvicinabile alla tipica forma di vaso
potorio prodotto in area siro-palestinese nel I secolo d.C.: orlo svasato a
taglio netto, pareti lievemente inclinate verso il fondo apodo. L’esemplare
pisano, soffiato entro stampo, reca una decorazione in rilievo consistente in
una fascia mediana decorata da tralci di edera fra due ampie fasce ricoperte da
un motivo a losanghe. Il tipo di decorazione sembra riconducibile al repertorio
dei vitrarii di formazione ellenistica, realizzato nell’ambito delle
produzioni romano-siriache, la cui diffusione in area italica sembra raggiungere
il suo apice nella seconda metà del I secolo d.C., soprattutto con le coppe che
recano il marchio del vitrarius sidonio Ennion.
Per l’indubbio interesse che la scoperta riveste
dal punto di vista scientifico, ma ovviamente anche dal punto di vista della
fruizione pubblica, ad appena un anno e mezzo del rinvenimento del primo relitto
(nave A) e con lo scavo ancora in corso, è stata inaugurata a Pisa
l’esposizione di parte dei reperti rinvenuti nell’antico bacino portuale.
Questa mostra, ospitata negli Arsenali Medicei, preceduta già da due importanti
esposizioni, una in questa stessa sede (25 giugno-6 agosto 1999, con
prolungamento sino alla fine di ottobre) e l’altra in una sezione del Museo
Archeologico Nazionale di Firenze (20 febbraio-14 maggio 2000), è attualmente
la più ricca e aggiornata esposizione degli oggetti recuperati nel bacino
portuale pisano.
Le navi antiche di Pisa. Primi dati ad un anno dell’inizio
delle ricerche
Sede: Pisa, Arsenali Medicei, Lungarno Simonelli Periodo: dal 15 giugno 2000 Orario: dal martedì al venerdì di h. 10-19; sabato,
domenica e festivi h. 10-13/14-20, lunedì chiuso. Informazioni: Comune di Pisa, Ufficio Cultura 050 910471 Informazioni visite guidate: Phoenix 050 21441 055 3215446 Sito internet: http://www.navipisa.it e-mail: info@navipisa.it Catalogo: Le navi antiche di Pisa. Primi dati ad un anno
dall’inizio delle ricerche, a cura di Stefano Bruni, Firenze,
Polistampa, 2000. |
Foto: Copyright
Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana (SAT), autore Luigi Miccinesi.
Restauro del materiale vitreo: Sergio Neri.
Note
(1) Lo scavo, ancora in corso, si svolge sotto la direzione tecnico scientifica di Stefano Bruni ispettore della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana; i lavori di scavo sono gestiti dalla Co.idra s.c.r.l. di Firenze, i rilievi sono a cura di Tecnostudio 77 di Firenze; la resinatura dei relitti è eseguita dalla Ikhos progetti s.c.s. di Torino, i restauri sono a cura del Centro di Restauro della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana e di Sergio Neri. Ringrazio Stefano Bruni che mi ha offerto lo studio e la pubblicazione del materiale vitreo proveniente da questo contesto e mi ha concesso l’opportunità di presentarlo in questa sede.
(2) Sull’argomento si veda S. Bruni, Il porto urbano di Pisa e i relitti del complesso ferroviario di “Pisa-San Rossore”. Primi dati (molto) preliminari, in Le navi antiche di Pisa. Ad un anno dall’inizio delle ricerche, a cura di S. Bruni, Firenze 2000, pp. 24-34.
(3) S. Bruni, Il porto urbano, cit., pp. 33-40, ivi ricca bibliografia.
(4) Sul ritrovamento dei relitti la loro descrizione e datazione, si veda S.Bruni , il porto urbano cit pag 40-51 ivi bibliografia precedente.
(5) Per una disamina più puntuale dei materiali rinvenuti si veda, Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 121-129; 175-189; 190-192; 193-196; 210-212; 213-218 a cura di vari autori. Sul rinvenimento della nave, la sua descrizione e datazione, si veda S. Bruni, Il porto urbano, cit., pp. 37-39.
(6) Per la trattazione specifica dei materiali, si veda Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 92-352, a cura di vari autori con bibliografia esaustiva.
(7) Sulle tecniche di produzione vitrea, si veda L. Saguì (a cura di), Storia al caleidoscopio. I vetri della collezione Gorga: un patrimonio ritrovato, Firenze 1998, pp. 13-26.
(8) Per un esame più puntuale del materiale vitreo si rimanda a D. Stiaffini, Vetri, in Le navi antiche di Pisa, cit., pp. 264-289, ivi ricca bibliografia di riferimento.